
Un viaggio su sei ruote: Fiat 640N
Ignazio, grande appassionato e custode della memoria storica dei trasporti, ci apre le porte del suo gioiello, un camion degli anni '50 che ha meticolosamente restaurato e con cui oggi viaggia per l'Italia, raccontando storie di un'epoca che non c'è più.
"Buongiorno! esordisce Ignazio con l'orgoglio di chi parla di una creatura a cui ha dedicato anima e corpo, vi do una piccola visione di questa macchina, parla del suo Fiat 640N del 1951 perfettamente restaurato, mi è capitato di comprarlo nel 2010, sono ormai più di 13 anni che l'ho restaurato e me ne vado in giro per l'Italia".
Il suo camion non è solo un mezzo d'epoca, ma una vera e propria capsula del tempo, ogni dettaglio, anche il più piccolo, racconta le sfide e l'ingegno dei camionisti di una volta.

Vivere in Cabina:
Il mondo dell'autista degli anni '50
Dentro l'abitacolo, si respira un'altra epoca, Ignazio ci mostra il volante originale a quattro razze, progettato così per resistere alla forza bruta necessaria per sterzare prima dell'avvento del servosterzo, "per lo sforzo, non si doveva piegare," spiega.

Il comfort era un lusso sconosciuto, l'aria condizionata? Il parabrezza apribile che offriva "un po' di refrigerio" ai poveri autisti, il rumore del motore era un compagno di viaggio costante, tanto che Ignazio ha dovuto insonorizzare un po' la cabina per renderla più vivibile.

Ingegno e adattamento:
Le soluzioni di un tempo
Ciò che colpisce di più sono le soluzioni ingegnose nate dalla necessità, le strade di allora, spesso sterrate, erano nemiche dei pneumatici, "si forava spesso, ricorda Ignazio, quindi questa macchina nasce con due ruote di scorta".
Anche la sicurezza era una preoccupazione, per prevenire i furti di carburante, era stato pensato un "antifurto" tanto semplice quanto efficace: un rubinetto esterno che chiudeva il flusso di gasolio, "se l'autista si dimenticava di aprirlo, il camion percorreva poche centinaia di metri per poi fermarsi".
E contro la nebbia invernale che appannava gli specchietti? La soluzione era uno spago legato allo specchio retrovisore che sbattendo con il vento, puliva il vetro quel tanto che bastava per intravedere qualcosa.
Le case costruttriciall'epoca, erano generose, in dotazione con il mezzo davano una cassetta degli attrezzi e una lampada portatile, che si collegava a una spina sotto il cruscotto per ispezionare il motore o cambiare una ruota di notte.

Parlare la lingua della strada
La comunicazione visiva era fondamentale, le frecce originali non erano le luci intermittenti che conosciamo oggi, ma delle "bacchette" a scomparsa che si alzavano lateralmente per indicare la direzione, le frecce moderne sono state aggiunte solo in seguito, per adeguarsi al nuovo Codice della Strada.

Un dettaglio curioso è una piccola targa con la scritta "Vietato farsi trainare", i ciclisti, in salita, si aggrappavano ai camion che andavano piano, racconta Ignazio, parecchi cadevano e si facevano male, così uscì l'obbligo di mettere questa targhetta.

Ma il simbolo più iconico era forse il triangolo posizionato sul tetto, "quando un camion trainava un rimorchio, era obbligatorio tenerlo alzato, spiega, da lontano, indicava che stava arrivando un veicolo lungo e pesante".
Quando il camion viaggiava senza rimorchio, il triangolo veniva abbassato, un sistema semplice ed efficace, vitale sulle strade strette e tortuose di una volta.

"Grazie, ragazzi," conclude Ignazio, chiudendo il suo racconto che non parla solo di meccanica, ma di vita vissuta, di sacrifici e di un mondo dei trasporti che, grazie a custodi come lui, non andrà mai completamente perduto.
Guarda il video completo sul canale Youtube.

Articolo di Riccardo Fois
Un ringraziamento speciale ad Ignazio per la sua passione e la disponibilità che ha dimostrato.
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